L'illegalità ambientale è un fenomeno diffuso su scala planetaria, chiama in causa comportamenti individuali e collettivi, richiede, per essere efficacemente combattuta, risposte globali, come recita il titolo di questo convegno internazionale. E' fin troppo ovvio, ad esempio, che un'azione puramente repressiva è del tutto inadeguata a fronteggiare fenomeni diffusi di illegalità, determinati da una scarsa conoscenza dei rischi connessi alla violazione delle norme, fenomeni per i quali, invece, è indispensabile avviare campagne d'informazione e di sensibilizzazione. Ma dovrebbe essere altrettanto chiaro che una semplice sanzione amministrativa o una blanda sanzione penale non costituiscono un efficace deterrente per attività dolose che determinano un grave danno ambientale e, quasi sempre, un illecito profitto.
Grazie a quest'assenza di tutela penale effettiva i crimini contro l'ambiente hanno assunto una rilevanza internazionale, come dimostrano le conclusioni del nono congresso mondiale dell'ONU su criminalità e giustizia, che si è svolto al Cairo nel maggio del 1995, e come testimonia questo importante convegno internazionale che la nostra associazione ha promosso insieme all'Arma dei carabinieri, alla Provincia di Roma e all'Unicri.
Partendo proprio dalla distinzione tra l'illegalità diffusa e la criminalità vera e propria Legambiente ha avviato uno specifico lavoro di ricerca sui fenomeni di aggressione all'ambiente in Italia. Un lavoro reso possibile dalle caratteristiche, anche organizzative, della nostra associazione, abbastanza uniche nel panorama italiano e internazionale. Legambiente può infatti contare sul lavoro attivo di oltre mille circoli disseminati sul territorio nazionale, i circoli locali di Legambiente sono dei veri e propri terminali per il nostro lavoro, grazie alla loro attenzione per ciò che accade nel loro territorio, alle rassegne della stampa locale, alla passione dei nostri associati.
La nostra attenzione si è concentrata, in particolare, sulle regioni meridionali e sul ruolo giocato dalla criminalità organizzata in due cicli economici a forte impatto ambientale: quello dei rifiuti, dalla raccolta allo smaltimento, e quello del cemento, delle attività estrattive agli appalti.
Questo lavoro di ricerca ha consentito di individuare, in tutta la sua gravità, l'esistenza di una nuova frontiera del crimine organizzato, sempre pronto a cogliere nuove opportunità di diversificazione delle attività illegali in grado di moltiplicare i profitti ed estendere il potere dei clan mafiosi. Nasce, così, nel dicembre del 1994, il termine "ecomafia", coniato da Legambiente in occasione della prima ricerca sull'illegalità ambientale nel Mezzogiorno, elaborata insieme all'Arma dei carabinieri. L'ambiente trasfigurato in terra di conquista da parte dei clan criminali viene, finalmente, percepito per quello che realmente rappresenta: una fonte di arricchimento illecito e, allo stesso tempo, un simbolo, anche visivo, di degrado civile, fino a costituire una vera e propria minaccia alla salute e alla sicurezza dei cittadini.
E', credo, con giustificato orgoglio che la nostra associazione ha visto, da allora, crescere in modo esponenziale l'attenzione delle istituzioni e dei mass media verso una criminalità che, come ha suggerito con efficacia il procuratore nazionale antimafia Piero Luigi Vigna, equivale a un vero e proprio "furto di futuro", il nostro futuro e, soprattutto, quello dei nostri figli.
All'impegno, si può dire ormai "storico" dell'Arma dei carabinieri e in particolare del Nucleo operativo ecologico, si è aggiunto, in modo crescente quello del Corpo forestale dello Stato, della Guardia di Finanza e della Polizia. L'ecomafia è, oggi, nel mirino di tutte le strutture investigative specializzate nel contrasto della criminalità organizzata, a cominciare dalla Direzione investigativa antimafia. La "sicurezza ambientale" si è conquistata un ruolo specifico nelle attività istituzionali del Sisde, diretto dal prefetto Vittorio Stelo. La Procura nazionale antimafia è impegnata nel coordinamento di delicate indagini, frutto sia di attività investigative che delle dichiarazioni rese da numerosi collaboratori di giustizia. Grazie al voto unanime al Senato, infine, lo scorso 3 aprile è stata istituita una Commissione bicamerale d'inchiesta sull'illegalità nel ciclo dei rifiuti, già approvata all'unanimità dalla Camera, che ci auguriamo possa lavorare proficuamente come è già avvenuto nella precedente legislatura con la Commissione presieduta dall'on. Massimo Scalia.
Sono risultati di grande rilievo che rischiano, però, di essere fortemente ridimensionati se questa "mobilitazione straordinaria" non si traduce in un impegno costante nel tempo, diffuso e dotato di adeguati strumenti per la repressione dei crimini contro l'ambiente, attraverso opportune modifiche del codice penale e di quello di procedura penale. E' indispensabile, per esemplificare, che venga finalmente e compiutamente riconosciuto il delitto di disastro ambientale; che il traffico illecito dei rifiuti sia considerato un delitto e non una semplice contravvenzione; che agli artefici dei crimini ambientali sia possibile contestare, quando ne ricorrono gli estremi, i reati associativi.
Su questo terreno ci aspettiamo un impegno chiaro e tempestivo da parte del governo. Nelle nuove sanzioni introdotte con il recente decreto legislativo sui rifiuti, infatti, Legambiente ha segnalato, accanto all'inasprimento delle sanzioni previste, ad esempio, per le discariche non autorizzate o il trasporto di rifiuti pericolosi (con l'introduzione della confisca di mezzi e aree usate illegalmente) eccessi di depenalizzazione, soprattutto per quanto riguarda i rifiuti pericolosi, e pene inadeguate per autentici delitti come il traffico illecito di rifiuti.
A imporre questo salto di qualità sono, del resto, le stesse cifre che fotografano, oggi, l'aggressione al nostro patrimonio ambientale. Grazie ad un aggiornamento, recentissimo, dei dati raccolti dalle diverse forze dell'ordine, Legambiente ha censito oltre 100.000 reati contro l'ambiente commessi tra il 1994 e il 1996. Nel secondo rapporto sull'ecomafia, presentato a Roma nel gennaio di quest'anno, la nostra associazione ha indicato un business potenziale dell'ecomafia pari a circa 21.000 miliardi di lire annui, dei quali circa 6.000 miliardi riconducibili al traffico e allo smaltimento illecito dei rifiuti e 6.500 alle attività estrattive illegali e all'abusivismo edilizio. Proprio la penetrazione dei clan mafiosi nel ciclo del cemento, infine, espone a gravissimi rischi di infiltrazione criminale anche gli investimenti pubblici in appalti (4.500 miliardi annui nelle regioni meridionali) e quelli relativi all'edilizia privata (ulteriori 4.000 miliardi l'anno).
In questa miniera d'oro si sono lanciati, soprattutto a partire dai primi anni Ottanta, decine e decine di clan (nel nostro secondo rapporto sull'ecomafia ne abbiamo indicati ben 53) che hanno sviluppato sia una specifica attitudine "imprenditoriale" sia un sistema di "alleanze" e di complicità indispensabile per operare senza eccessivi ostacoli. Tutte le grandi organizzazioni criminali (Cosa nostra, camorra, ‘ndrangheta e Sacra corona unita) hanno inserito queste attività nel loro "portafoglio" criminale. L'ecomafia, in questi anni, ha ramificato le proprie attività attraverso l'intero territorio nazionale, inquina la nostra economia, condiziona in modo grave, la stessa possibilità di avviare un nuovo modello di sviluppo, soprattutto nel Sud, moderno e pulito.
Per dare un'idea dell'incidenza dell'azione dell'ecomafia nell'economia meridionale sono sufficienti pochi dati: come detto, i clan mafiosi hanno individuato nell'illegalità collegata allo smaltimento dei rifiuti e all'edilizia un vero filone d'oro. Ebbene, i reati connessi a questi due settori rappresentato, su scala nazionale, il 20% dei crimini ambientali accertati in Italia negli ultimi tre anni; tale incidenza sale al 40% nelle regioni meridionali, più soggette all'azione mafiosa. Si determina così un'emergenza non solo ambientale, ma anche socio-economica: due importanti settori di possibile sviluppo vengono, date queste cifre, di fatto controllati dalla criminalità organizzata, che si giova della scarsa efficacia della legislazione di contrasto.
E' per queste ragioni che la battaglia contro l'ecomafia assume, a nostro avviso, una rilevanza decisiva: un'efficace azione di contrasto di queste attività delittuose, infatti, è indispensabile per garantire, oltre al necessario ripristino della legalità, la salvaguardia del patrimonio ambientale del nostro Paese e l'avvio di nuove politiche di sviluppo, basate proprio sulla valorizzazione di questo patrimonio, così come di quello archeologico e storico. Questa straordinaria ricchezza, insieme alla manutenzione e al restauro delle nostre città, è al centro delle proposte di Legambiente sul fronte dell'occupazione e rappresenta, oggi, un terreno concreto di scontro con gli interessi criminali. Ci sembra assai difficile, infatti, ipotizzare un qualsivoglia scenario virtuoso per il nostro Sud senza un drastico ridimensionamento del potere economico della criminalità organizzata, rispetto al quale, come ha riconosciuto recentemente lo stesso ministro dell'Interno Giorgio Napolitano, scontiamo gravi ritardi.
Questo fenomeno rappresenta, come già accennato, una peculiarità del nostro Paese, un gap ulteriore rispetto agli altri paesi industrializzati che Legambiente per prima ha denunciato in tutta la sua gravità. Ma esistono settori, come il traffico internazionale di materiali e rifiuti radioattivi o quello dei rifiuti tossici, in cui la dimensione dei crimini ambientali investe scenari internazionali e richiede risposte, adeguate, allo stesso livello. E' ancora aperta, nel nostro Paese, un'indagine, coordinata dalla Procura nazionale antimafia, in cui si ipotizza l'affondamento al largo dalle nostre coste di navi "a perdere", come vengono definite in gergo queste autentiche carrette dei mari, imbottite di rifiuti radioattivi o comunque utilizzate per traffici illeciti che vedrebbero coinvolta anche la criminalità organizzata. Ma non possiamo dimenticare che l'indagine è stata aperta dalla Procura presso la pretura di Reggio Calabria che procedeva anche in base a reati sanzionati con una semplice ammenda. Ancora oggi chi compie attività illegali nel settore, delicatissimo, dei rifiuti radioattivi di origine nucleare o di sorgenti utilizzate per applicazioni sanitarie e industriali arriva fino al milione di lire a chilogrammo.
Saranno le indagini giudiziarie in corso a stabilire, ci auguriamo il più rapidamente possibile, se il nostro Paese è investito anche da questa tipologia, pericolosissima, di traffici illeciti. Ma già oggi riteniamo che debba suonare più di un campanello d'allarme. I risultati raggiunti dal nucleo specializzato del Noe in appena un anno di attività evidenziano una situazione di diffusa illegalità anche nel settore dei rifiuti radioattivi, con oltre 200 reati già accertati. Dal seminario internazionale organizzato a metà marzo dal Dipartimento delle dogane a Napoli è emersa inoltre, con grande chiarezza, l'esistenza di una forte pressione sul nostro Paese rappresentata dai traffici di materiale ferroso contaminato radioattivamente. Solo l'ufficio doganale di Gorizia, infatti, ha individuato e respinto nel 1996 ben 199 vagoni, contaminati, con oltre 14.000 tonnellate di materiale rispedito oltre frontiera. Questi traffici, diventati particolarmente intensi a partire dell'estate del 1993, conservano tuttora una rilevante pericolosità, come emerge dalla relazione dell'Ispettorato per l'emergenza dei Vigili del fuoco, particolarmente impegnati in attività di controllo: "Si ha motivo di ritenere che la situazione relativa al transito e all'accesso nel paese di materiale radioattivo - è scritto in questa relazione - si mantenga sostanzialmente costante nelle epoche successive, sia perché la necessità di smaltimento dei materiali in questione da parte dei paesi dell'Est non dovrebbe essere diminuita sia perché, a parità di condizioni, l'organizzazione malavitosa in generale appare ormai sempre più interessata alla gestione e al controllo dei flussi di materiali e sostanze radioattive, tossiche e nocive, per il riciclaggio o per lo smaltimento in discariche di varia tipologia (interrate, in caverne, in mare)".
La dimensione internazionale di questi traffici richiede, come già detto, risposte comuni, ovvero un quadro sanzionatorio ben definito a livello internazionale. E', insomma, un terreno in cui il coordinamento delle iniziative, anche di carattere legislativo, appare davvero urgente. Saranno, anche in questo caso, le indagini giudiziarie in corso a stabilire quanto ci sia di casuale in questi traffici, ovvero quanto dipendano dall'imperizia degli esportatori, e quanto, invece, come ci sembra più verosimile, sia da attribuire a vere e proprie attività illecite di smaltimento, operate anche con la complicità di organizzazioni criminali. Ma proprio la pericolosità dei materiali e i rilevantissimi rischi per la salute connessi allo smaltimento di scorie e rifiuti radioattivi dovrebbero obbligare la comunità internazionale, a partire dall'Unione europea, a definire e adottare rapidamente adeguate misure di contrasto.
Selezionando l'ecomafia dal contesto più ampio dell'illegalità ambientale, la nostra associazione ha voluto indicare, insomma, quello spartiacque tra comportamenti illeciti e attività delittuose che dovrebbe, a nostro avviso, guidare il legislatore nell'adozione di un sistema penale di tutela dell'ambiente. E' noto, infatti, che l'ingresso della criminalità organizzata in settori come la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti (ma lo stesso discorso vale per la gestione di cave illegali o l'abusivismo edilizio) è stato determinato, oltre che dai profitti ottenibili, dalla sostanziale assenza di rischi e costituisce, da questo punto di vista, una caratteristica specifica del nostro Paese.
Ma le stesse motivazioni animano chi, pur non essendo mafioso, commette deliberatamente, in Italia e altrove, un crimine contro l'ambiente: un'impresa che, producendo rifiuti pericolosi, se ne libera illegalmente raggiunge, infatti, l'obiettivo di ridurre i costi, ovvero di aumentare i margini di profitto, senza subire conseguenze rilevanti. E lo stesso discorso vale per chi si affida ai trafficanti internazionali sempre pronti a "colonizzare" con i loro veleni paesi economicamente arretrati, magari caratterizzati da sistemi di potere corrotti, o meglio ancora, da conflitti bellici, così da poter sfruttare al meglio, sulle stesse rotte, i traffici di armi e quelli di rifiuti.
E' per queste ragioni che il lavoro di ricerca sviluppato da Legambiente ha superato i "confini" del nostro Paese, grazie alla collaborazione avviata con l'Unicri a partire dal nono congresso mondiale dell'Onu su criminalità e giustizia del maggio 1995. Se l'ecomafia, infatti, è un fenomeno particolarmente grave in Italia, la criminalità ambientale, che ne rappresenta il fertilissimo humus, costituisce una minaccia incombente sull'intera comunità internazionale. Non a caso, del resto, proprio dal Cairo è arrivato l'invito a studiare, in tutti i paesi membri delle Nazioni Unite, l'introduzione dei crimini contro l'ambiente nei codici penali. E, allo stesso modo, non è casuale che sia proprio l'Italia ad ospitare il primo convegno internazionale di questo rilievo a circa due anni di distanza da quella, importante, decisione. Un convegno che, ci auguriamo, possa dare un contributo rilevante alla definizione di quel nuovo quadro normativo di tutela penale dell'ambiente che avvertiamo come un'esigenza prioritaria del nostro Paese ma che deve essere finalmente elaborato sia in sede europea (attraverso una specifica direttiva) che a livello internazionale, magari tramite una Convenzione sui crimini contro l'ambiente promossa dalle Nazioni Unite.
L'Italia può svolgere, come già accennato, un ruolo di grande rilievo. E' nel nostro Paese, infatti, che si è definito, contro l'ecomafia e la criminalità ambientale, un proficuo e innovativo terreno di collaborazione tra un'associazione di cittadini qual è Legambiente, le forze dell'ordine, a cominciare dall'Arma dei carabinieri, istituzioni e amministrazioni locali. Da quest'ultime, in particolare, arrivano segnali decisamente in controtendenza rispetto al vuoto d'iniziative degli anni scorsi: la Regione Basilicata ha istituito, nel febbraio di quest'anno, il primo Osservatorio regionale su Ambiente e legalità; un'identica iniziativa è in fase avanzata di definizione in Piemonte, promossa da Legambiente e da diverse amministrazioni provinciali, e da parte della Provincia di Roma.
E' grazie a questo impegno comune se, oggi, in questa battaglia contro i "ladri di futuro", l'Italia assume un ruolo di grande rilievo. Senza il timore di "sporcare" la propria immagine ma, al contrario, con la convinzione di poter dimostrare, concretamente, la propria capacità di affrontare l'aggressione criminale all'ambiente in cui viviamo, individuarne le cause e adottare tutte le necessarie contromisure. Sapremo, così, rispettare quel patto che, ci auguriamo, ciascuno di noi, per le sue competenze e responsabilità ha sinceramente sottoscritto: consegnare alle future generazioni un paese, e un mondo, migliore.
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